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TOMBA DELLA COLONNA – SAN LORENZO NUOVO

 

COORDINATE

42.6772716, 11.8901182

A pochi metri dalla piccola chiesa della Madonna di Torano, a San Lorenzo Nuovo, durante lavori di aratura, affiorarono nel gennaio del 1976 frammenti di vasi dipinti, a poca distanza da una tomba a camera scavata nel costone tufaceo, già violata in anni precedenti.


La Soprintendenza archeologica in collaborazione col Gruppo Archeologico di San Lorenzo nuovo, avviò i lavori per la ripulitura della tomba etrusca, che consentirono di recuperare diversi vasi figurati rinvenuti nell’angolo destro del corridoio di accesso.

Interno della tomba

Una colonna
La tomba è costituita da un unico ambiente rettangolare dotato di una banchina continua su tre pareti, soffitto a doppio spiovente e trave centrale a rilievo sostenuto, al centro, da una doppia mensola che poggia su una colonna di ordine tuscanico: la colonna che ha dato il nome alla tomba. Il Romanelli segnala nel 1986 tracce di intonaco sul plinto della colonna, oggi non più visibili. La struttura della tomba è stata inserita nel quadro tipologico attestato nella media valle del Tevere (Bomarzo e Agro Falisco).


La ceramica
Non c’è documentazione riguardo alle modalità di rinvenimento delle ceramiche presenti all’interno della tomba, tuttavia, le classi presenti sembrano circoscrivere l’arco cronologico di uso della struttura tra l’ultimo quarto del V ed il III secolo a.C.

Sono stati ritrovati:

  • uno skyphos attico a figure rosse;
  • una ventina circa di kylikes a vernice nera sovra dipinta del Gruppo Sokra;
  • frammenti di skyphoi del Gruppo delle Imitazioni dei Vasi Saint Valentin;
  • un boccale in ceramica ad ornati vegetali del Gruppo Roselle 1889;
  • un frammento di capulus di strigile;
  • un’ansa di kyathos di bronzo;
  • frammenti di chiodi di ferro.



Lo skyphos attico
Lo skyphos attico a figure rosse datato al 430 a.C. risulta essere l’oggetto più antico e quindi se è stato deposto con la prima deposizione, dovrebbe fornire un terminus ante quem per la realizzazione della tomba, nell’ultimo quarto del V secolo a.C. Lo skyphos rappresenta su entrambi i lati scene di atleti in palestra mentre si esercitano, tra cui un personaggio con lo strigile in mano. La diffusione di questi skyphoi con soggetti atletici sembra interessare l’Etruria interna attraverso l’asse del Tevere: il fenomeno dimostra la grande vitalità delle città etrusche e falische che si approvvigionano di ceramica attica ancora nell’ultimo quarto del V secolo a.C. Le città dell’Etruria meridionale tirrenica dopo il 474 a.C. infatti presentano molto spesso vasi usciti dalle stesse officine di quelli attestati nell’Agro Falisco. L’esistenza di circuiti tirrenici ancora vitali non esclude che vi sia stata anche una redistribuzione terrestre lungo i percorsi appenninici per giungere nell’Etruria interna e meridionale.

Dott.ssa Francesca Pontani
Archeologa, comunicazione digitale

SANTA CECILIA: UNA CHIESA MEDIEVALE NEL BOSCO DI SORIANO NEL CIMINO

COORDINATE
42.4746644, 12.2647021


In località Santa Cecilia a Soriano nel Cimino camminando nel bosco, attraverso sentieri di roccia e pareti di peperino ricoperte di muschio verde, sul fianco sinistro della valle del fosso Castello, sono raggruppati su un’area boscosa suggestiva centinaia di resti di un insediamento umano rupestre che, per la varietà tipologica, lasciano supporre che il sito sia rimasto abitato da un’epoca antica imprecisabile fino verso il decimo secolo dell’era cristiana.

Resti dell’abside della chiesa




I resti più vistosi, più suggestivi e fiabeschi, sono però le fondamenta di una piccola chiesa medievale, absidata, ad una sola navata, che presumibilmente ha dato il nome al luogo. Quello che oggi è certo è però un paesaggio avvolto da una natura che incanta, e che invita ad entrare nel bosco.


La chiesa
All’interno del perimetro del sacro edificio è ancora presente il pilastrino destinato a sostenere la mensa dell’altare, mentre tutto intorno, tra enormi mucchi di blocchi squadrati di peperino (appartenuti ai muri perimetrali della chiesa), sono sparsi, tra cespugli e alberi, basi, capitelli e rocchi di colonne.


La datazione

Per quanto riguarda la datazione della chiesa gli studiosi fanno riferimento all’ipotesi formulata dallo studioso Augusto Egidi il quale riscontra una netta somiglianza con quelli di stile pre-romanico della basilica di San Pietro a Tuscania, attribuibile all’VIII secolo.


Le tombe antropomorfe
Intorno alla chiesa sono presenti numerose tombe a fossa, a sagoma antropomorfa. Sempre nei pressi della chiesa ci sono anche sarcofagi monolitici aventi la stessa sagomatura.


La fine
Non sappiamo né per quali vicende, né quando la chiesa di Santa Cecilia e le altre costruzioni del circostante villaggio siano andate distrutte.

Dott.ssa Francesca Pontani
Archeologa, comunicazione digitale

AREA ARCHEOLOGICA DI PALAZZOLO – VASANELLO

COORDINATE
42.25’59.7, 12.20’31.8 (inizio percorso)


L’area archeologica
L’insediamento di Palazzolo è a pochi km dal centro di Vasanello, facilmente raggiungibile a piedi o con la macchina percorrendo la strada asfaltata. Un’area archeologica ben attrezzata con tavoli per picnic, panchine posizionate in punti panoramici, con i luoghi più “pericolosi” ben recintati/chiusi o comunque chiaramente segnalati e un’utile segnaletica esplicativa.


1000 anni di storia L’area archeologica di Palazzolo è uno di quei luoghi in grado di richiamare l’attenzione sia degli studiosi che degli appassionati in quanto permette di attraversare oltre 1000 anni di storia, con la prima vera testimonianza scritta datata al 1093.

Secondo una leggenda riportata dalla carta Ager Hortanus del 1723, Palazzolo fu il luogo dove morì Elbio, l’ultimo re degli Etruschi, sconfitto dai Romani nella battaglia del vicino lago Vadimone, svoltasi nel 283 a. C.


Nel I secolo a.C. la famiglia romana degli Ancharii realizza un’importante fornace di ceramica sigillata italica, i cui butti (molto ben documentati nel Museo archeologico a Vasanello, visitabile su prenotazione) sono fortuitamente tornati alla luce nel 1974 durante operazioni di disboscamento.


La rupe dove è presente il castello medievale è costeggiata da due corsi d’acqua ed è stata plasmata dall’uomo a seconda delle sue esigenze: numerosi infatti sono gli ambienti ipogeii, disposti su più livelli e comunicanti tra di loro, che ospitano abitazioni, stalle e attività produttive, sviluppando un complesso insediamento rupestre davvero molto suggestivo di età altomedievale che precede l’edificazione del castello.


Architettura “in negativo”

L’insediamento rupestre, oltre al fascino che ancora evoca nelle sue forme e nelle sue architetture “in negativo” (cioè scavato/ricavato dalla rupe viva) visibili in circa 30 cavità ben conservate, è affiancato da quella che è la prima testimonianza archeologica del cristianesimo nel territorio: la necropoli dei Morticelli, con la piccola chiesa annessa.


La necropoli dei Morticelli
La necropoli dei Morticelli: sepolture antropomorfe scavate nel tufo, popolarmente chiamate “morticelli”, cioè dei “piccoli morti”. Questa necropoli si trova lungo la direttrice medievale che dall’insediamento di Palazzolo conduceva all’insediamento di Santa Maria di Luco. Nel 2009 comune di Vasanello e Università della Tuscia hanno condotto un’indagine archeologica che ha messo in luce: 33 sepolture, i resti dell’abside di una chiesa e un piano pavimentale “a scanalature”. La tipologia tombale è quella delle “loggette” che, comunemente datata all’età altomedievale, è ben attestata nella Tuscia viterbese. I confronti con i siti della stessa tipologia collocano un primo utilizzo dell’area cimiteriale tra VII e VIII secolo, in concomitanza con lo sviluppo dell’insediamento rupestre di Palazzolo.


La ”Grotta delle Monache”
Nell’area sono presenti diversi colombari di cui quello più suggestivo è la cosiddetta “Grotta delle Monache” da alcuni identificata come cella di santa Rosa perché secondo la tradizione la giovane di Viterbo avrebbe trovato rifugio in questo ambiente rupestre.

Dott.ssa Francesca Pontani
Archeologa, comunicazione digitale

MONTECASOLI

COORDINATE
42.4976187; 12.2357765,261 (insediamento rupestre)


Dentro un fitto bosco di querce sono presenti numerose cavità scavate dall’uomo nel corso dei secoli: ambienti quadrangolari con banchine ai lati, con segni di riutilizzo come piccole finestre, mangiatoie, incavi per la trasformazione ad ovile o stalla. Forse in origine tombe etrusche nel corso del tempo riutilizzate e adattate a diversi scopi. Quello che è certo è che Monte Casoli, analogamente ad altri centri su altura tufacea dell’alto Lazio, fu fortificato in concomitanza con l’espansione romana, abbandonato in seguito alla conquista e rioccupato nel medioevo sempre per ragioni difensive.


Etruschi, Romani e Medioevo
Sono visibili resti di fortificazioni etrusche datate al IV-III secolo a.C. e ruderi di un castello medievale completamento in rovina. Il sito, come gran parte degli abitati medievali, è difeso naturalmente su tre lati da ripide pareti di tufo. Infatti la collina di Monte Casoli è situata a circa 1 km da Bomarzo, ed è un piccolo altopiano tufaceo delimitato dai due corsi d’acqua del Vezza e il fosso di Monte Casoli.

Vista del sito di Montecasoli


Le vicende storiche
In epoca etrusca la zona dove oggi sorge la chiesa di Santa Maria di Montecasoli fu sede di un nucleo fortificato a difesa di Bomarzo, lungo il corso del torrente Vezza. Ancora abitato in epoca romana, l’insediamento fu trasformato in castello nel medioevo, come testimoniano i resti delle mura difensive e gli atti di vendita del 1293 alla città di Viterbo. Nel 1520 la tenuta risulta essere data in concessione dalla Reverenda Camera Apostolica per un canone costituito da un cane da caccia, poi sostituito da otto libbre di cera. Nei pressi dei resti del castello sorge la piccola chiesa di S. Maria di Monte Casoli.

Cavità e colombari
La parte alta di Monte Casoli è ricca di cavità che un tempo furono adibite ad abitazioni, stalle e magazzini. Sui costoni sono ancora visibili colombari in parte crollati e alcune tombe. Molto suggestiva la via cava.

Area naturale protetta
Oggi Montecasoli è area naturale protetta per le sue valenze naturalistiche ed archeologiche ed è meta di una processione nel giorno del Lunedì di Pasqua.

Dotto.ssa Francesca Pontani
Archeologa, comunicazione digitale

NECROPOLI ETRUSCA DI GUADO CINTO – TUSCANIA

COORDINATE
42.24’12.0 11.52’34.6

Nella località Guado Cinto a Tuscania, attraverso le indagini condotte tra la fine del 2005 e l’estate del 2006 dalla Soprintendenza Archeologica per l’Etruria Meridionale, è stata indagata una necropoli monumentale in uso almeno dalla metà del VI secolo fino alla metà del V secolo a.C.

Guado Cinto: tre giganteschi tumuli funerari
Guado Cinto sul fiume Marta è una necropoli monumentale composta da tre enormi tumuli di circa 20 metri di diametro, di cui uno con camera funeraria centrale interamente costruita con grandi blocchi di tufo. L’elemento visivamente più appariscente sono le strutture a tumulo che per la loro grandezza e il loro stile architettonico particolarmente elaborato e sontuoso sono quasi un unicum nel panorama archeologico del territorio, e ascrivibili ad una committenza di rango principesco che sicuramente ebbe un ruolo di preminenza economico-politica nella regione.

Vista della Necropoli di Guado Cinto a Tuscania



Guado Cinto: elaborate decorazioni architettoniche
Il complesso di tombe di Guado Cinto, anche se sconvolto dalle arature e dai saccheggi antichi e moderni, ha restituito resti di pregevoli corredi funerari (conservati al Museo archeologico nazionale a Tuscania). Il ritrovamento di specifici reperti coroplastici ha inoltre confermato la presenza nei tumuli di elaborate decorazioni architettoniche composte da sculture lapidee e lastre fittili di elevata qualità!

La ceramica attica a figure rosse di Guado Cinto
In particolare nell’esplorazione dei tre grandi tumuli lo scavo ha recuperato una grande quantità di materiali tra cui, soprattutto, ceramica attica del tipo a figure rosse, creata da grandi maestri. Infatti con l’intensificarsi degli scambi commerciali tra l’Etruria e le isole del mare Egeo, i vasi soprattutto corinzi e attici sono abbondantemente importati dagli Etruschi che ne apprezzano la qualità, diventando il simbolo dello status sociale raggiunto da chi decide di esporli e di utilizzarli. La ceramica attica qui ritrovata si compone di kylix, crateri, anfore: cioè il corredo utilizzato per il simposio, quel momento di convivialità ritualizzata che gli Etruschi derivano dalla Grecia, veicolato in Italia attraverso appunto la ceramica attica stessa e il suo contenuto, il vino.

Guado Cinto: passaggio economico obbligato
E’ quindi nella fase tardo-orientalizzante ed arcaica che il centro di Tuscania esprime una economia spiccatamente commerciale con consistenti flussi di materiali dal Mediterraneo. Il fervore artistico che si manifesta in questo periodo, i cui centri principali sono Vulci, Tarquinia, Cerveteri e Orvieto, aveva, in definitiva, in Tuscania un passaggio obbligato dove i suoi caratteri venivano recepiti, assorbiti e spesso rielaborati in manifestazioni locali con una propria peculiarità e che pongono Tuscania stessa quale caposaldo del transito commerciale sulle più importanti direttrici viarie di allora, che dalla costa si dirigevano verso il comparto falisco-capenate e nelle regioni transtiberine, e a quello volsiniese.

Dott.ssa Francesca Pontani
Archeologa, comunicazione digitale

CASTEL DI SALCE – VITERBO

COORDINATE
42.3691051; 12.003052  (torre medievale)


All’uscita sud di Viterbo, al km 6 della provinciale Tuscania-Vetralla, sono ancora visibili i resti di una torre che si eleva dal campo.

Abitato di epoca etrusca, romana e medievale
La conformazione geomorfologica della zona permette di ipotizzare che la zona di Castel di Salce sia stata un sito molto frequentato, dove si sono succeduti vari insediamenti umani: in epoca etrusca, come indicano le numerose tombe scavate nel costone tufaceo lungo il fosso Rigomero; in epoca romana, come testimoniano i rinvenimenti di pezzi di lastre marmoree, di tessere e resti di mosaici; poi in epoca medievale.

Tuttavia poche ed esigue sono le notizie relative a questo insediamento, distrutto in epoca antica.

“Casale Salcis”
Il suo nome compare come “Casale Salcis” in documenti contenuti nel Registro del Monastero di Farfa, datati VIII-XI secolo, dove, insieme con altri casali, è indicato come possedimento del territorio di Orcla (Norchia).

In seguito fu edificato a Castello e nel 1084 per ordine dell’imperatore doveva essere restituito al Monastero di Farfa, cosa che non avvenne.

Nel 1200 Castel di Salce fu distrutto dai Romani in una delle tante guerre contro Viterbo. Le fonti a tal proposito riferiscono il termine “scarcare” che non doveva indicare una distruzione assoluta ma piuttosto un saccheggio con danni alle strutture. Nel XIII secolo il luogo doveva essere ancora abitato poiché esisteva una chiesa di S. Lorenzo de Salcis il cui arcipresbiterio, nel 1212, si impegnava a tenervi un sacerdote.

Abitato rupestre di epoca medievale
La torre fa parte di un complesso di strutture antiche composte da numerose cavità e dai resti di una struttura fortificata, emergenti su uno sperone tufaceo che appartengono a Castel di Salce, un esempio tipico di abitato rupestre di epoca medievale.

Dott.ssa Francesca Pontani
Archeologa, comunicazione digitale

CORVIANO

COORDINATE
42.4823891, 12.2017991    (ruderi del castello)

A Corviano numerosi villaggi sulla via Ferentana
A breve distanza dal torrente Vezza si svilupparono nell’antichità numerosi villaggi i quali in epoca romana furono collegati tra loro da un tratto della via Ferentana (procedente da Ferento verso Faleri Novi). Alcuni di questi villaggi rimasero in vita anche nel medioevo e tra le zone che presentano una maggiore quantità di emergenze archeologiche è quella in cui sorse l’insediamento di Corviano.

Corviano monumento naturale
Corviano è un’area archeologica molto vasta e molto suggestiva sia dal punto di vista archeologico che naturalistico, tanto che è Monumento Naturale: circa 70 ha di territorio estremamente peculiare sia sotto il profilo naturalistico che per le emergenze archeologiche. La zona è interessata da profondi crepacci prodotti da remoti sconvolgimenti tellurici ed è quasi totalmente ricoperta da una boscaglia di querce e da un fitto sottobosco cespuglioso.

Archeologia: case, mura, pestarole, un castello
Vi si conservano un cospicuo raggruppamento di antichissime case rupestri (in alcuni casi riutilizzate fino in epoche recenti); resti di cinte murarie etrusco-romane; un vallo; una necropoli con tombe a fossa antropomorfa; pestarole; i ruderi di un castello medievale, di tre chiese e di un mulino di epoca medievale.

Spettacolari strapiombi rocciosi
L’altopiano di roccia vulcanica su cui sorge Corviano è naturalmente munito da alti strapiombi rocciosi: pericolosi (quindi massima attenzione a sporgervi!) ma stupendi, spettacolari e pittoreschi!

Corviano nel medioevo
Il sito di Corviano nel medioevo fu a lungo possesso dei Benedettini dell’Abbazia di S. Andrea in Flumine. Per le sue caratteristiche strategiche il luogo è stato occupato fin dall’alto medioevo con la costruzione di un muro, di cui rimangono ancora visibili alcuni tratti (grandi blocchi di 1,80 metri di spessore), costruito intorno all’abitato. Una chiesa ad unica navata con abside e una necropoli con sepolture antropomorfe “a loggetta”, in sarcofago o scavate direttamente dal masso, testimoniano ulteriormente la frequentazione del sito fin dal primo medioevo, periodo in cui Corviano può essere inserito nel sistema difensivo della fascia di confine tra Bizantini e Longobardi, tra fine VI e VIII secolo. Una serie di cavità rupestri con ingressi parietali è ancora visibile sui versanti est e sud e attesta la frequentazione del pianoro, senza poter escludere naturalmente il riutilizzo di cavità preesistenti.
L’insediamento medievale appare citato nelle fonti alla fine dell’XI secolo, le emergenze monumentali che oggi si vedono sul pianoro vanno dall’XI al XIV secolo.

Dott.ssa Francesca Pontani
Archeologa, comunicazione digitale

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IL TUMULO DI POGGIO GALLINARO – TARQUINIA

COORDINATE
 42.271340, 11.788741

Poggio Gallinaro in età Orientalizzante
Il Tumulo etrusco di Poggio Gallinaro è un tumulo etrusco di età Orientalizzante (VII secolo a.C.) e secondo studi recenti il titolare sarebbe stato colui che rese monumentale, dal punto di vista urbanistico e simbolico, La Civita, l’antica città etrusca di Tarquinia. La città sacra per eccellenza per il popolo Etrusco perché fu proprio presso La Civita che, da una zolla di terra, balzò fuori Tagete: il giovane-vecchio (giovane nell’aspetto ma dai capelli bianchi e dotato di una saggezza pari solo ad un uomo anziano) che dettò a Tarchon, lì presente i precetti dell’Etrusca disciplina.

Poggio Gallinaro esattamente di fronte “La Civita”
Monumentalità della tomba di Poggio Gallinaro e gli oggetti del corredo ci raccontano di questo importante esponente dell’etrusca Tarquinia: plettri in avorio, statuine d’impasto raffiguranti le “piangenti” e due modelli miniaturistici di ascia bipenne in bucchero documentano infatti un rito funerario legato alla particolare rilevanza sociale del defunto.
Inoltre il tumulo monumentale svetta su un’altura posta esattamente di fronte La Civita: a indicare simbolicamente il dominio della zona da parte di una famiglia gentilizia, fortemente legata alla città.
Secondo una recente ipotesi il defunto qui seppellito potrebbe essere stato proprio lui il promotore dell’area sacra monumentale situata al centro del Pian di Civita.
Quindi sarebbe stato il titolare di Poggio Gallinaro colui che ordinò il seppellimento del deposito votivo principesco costituito dai simboli di potere etruschi: l’ascia, lo scudo e il lituo in bronzo (conservati al Museo etrusca nazionale di Tarquinia).
Un gesto simbolicamente estremamente potente, di presenza fisica, su quel luogo sacro per eccellenza nella storia del popolo etrusco.

Il Tumulo di Poggio Gallinaro: un’unica camera
La sepoltura di Poggio Gallinaro presenta un’unica camera, accessibile attraverso un ampio vestibolo, con scalinata che scende verso il basso. La cella funeraria è stata completamente costruita all’interno del banco roccioso di arenaria appositamente scavato. Le pareti sono costituite da blocchi squadrati in calcare, messi in opera senza malta.

Dott.ssa Francesca Pontani
Archeologa, comunicazione digitale

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IL SENTIERO FUCSIA – BARBARANO ROMANO

COORDINATE
42.258407, 12.083498 (inizio sentiero)

Nel Parco regionale Marturanum di Barbarano Romano ci sono dei sentieri segnalati con colori diversi: uno di questi è il sentiero fucsia che attraversa la necropoli rupestre di San Simone, costeggia il pianoro dell’antica città etrusca e sale sulla radura dove è presente la chiesa medievale di San Giuliano con accanto il cosiddetto Bagno Romano di epoca romana.

L’area archeologica di San Giuliano
La piccola altura tufacea sopra l’area archeologica di San Giuliano prende il nome dalla chiesa romanica. Il pianoro è circondato da tante necropoli rupestri avvolte dalla bella vegetazione che ricopre i ripidi costoni rocciosi. Si tratta infatti di un’area occupata con continuità fin dalla tarda età del Bronzo e soprattutto in epoca etrusca con il periodo Orientalizzante e Arcaico. Del Medioevo resta la chiesa e alcuni filari delle mura difensive, e poi resti di canali e di pozzi per il drenaggio delle acque, anch’essi frutto del rimaneggiamento di impianti preesistenti etrusco-romani.

L’antica città etrusca di San Giuliano
L’antica città etrusca di San Giuliano era su un pianoro tufaceo con pareti a strapiombo, ottime per la difesa. Si ipotizza di identificarla con il centro di Cortuosa, citato da Tito Livio (VI,4,8-9), o di attribuirle il nome di Manturanum, Marturanum, ricordato come sede vescovile nell’alto Medioevo. L’esistenza della città etrusca è provata dai tratti di mura, dal sistema idrico per il drenaggio con cunicoli e cisterne, una delle quali ampliata in età romana (il cd. Bagno romano), da alcuni percorsi stradali che collegavano San Giuliano ai colli circostanti e dalla grande necropoli le cui tombe si susseguono dalla metà del VII al III secolo a.C.

La Chiesa di San Giuliano
La chiesa di San Giuliano (XII secolo), è il risultato di molti interventi subiti nei secoli. Annesso c’è l’edificio a due piani che fu il romitorio per una piccola comunità di monaci eremiti presenti fino al XIX secolo. Splendide le pitture: figure di santi, una Madonna col Bambino, un Cristo in mandorla. La denominazione dell’area archeologica prende il nome dal Santo a cui è stata dedicata la chiesa: San Giuliano Ospitaliere, raffigurato come un giovane cavaliere senza armatura tranne la spada, con un mantello, lo stendardo e l’aureola.

Il “Bagno romano”
Al cosiddetto Bagno romano si accede tramite una lunga e ripida scalinata alla fine della quale si è conservata l’imboccatura di un cunicolo: esempio dell’abilità idraulica etrusca e poi romana, nella realizzazione dei lavori di bonifica e di drenaggio dei terreni. Il grande ambiente che si apre ai nostri occhi è un’opera idraulica inizialmente usata come struttura di raccolta per l’acqua che veniva attinta dall’imboccatura di un pozzo, sulla quota di campagna. Successivamente la stanza per la conservazione dell’acqua fu ampliata e modificata con la realizzazione di una gradinata nella vasca, per utilizzarla come bagno.

Dott.ssa Francesca Pontani
Archeologa, comunicazione digitale

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